Borgo Taccone


Borgo Taccone: dove il tempo si è fermato

Nascosto tra le morbide colline della Basilicata, nel territorio del comune di Irsina (MT), esiste un luogo in cui il tempo sembra essersi arreso. Le strade ormai inghiottite dalla vegetazione, i tetti crollati, le finestre rotte e le mura consumate dal vento non sono semplicemente rovine: sono i resti visibili di un’utopia rurale fallita. Questo luogo ha un nome dimenticato dai più, ma sussurrato con un certo rispetto da chi conosce la sua storia: Borgo Taccone.

Le origini: una speranza chiamata riforma agraria

Borgo Taccone nacque negli anni Cinquanta come parte integrante della grande Riforma Agraria voluta dal governo De Gasperi. In quegli anni, l’Italia cercava di risollevare il Meridione, ancora segnato dal latifondismo e da una povertà rurale profonda e diffusa. Il progetto fu affidato all’Ente Riforma e prevedeva la costruzione di borghi agricoli autosufficienti dove le famiglie contadine potessero vivere con dignità, lavorare la terra e costruire un futuro.

Il borgo fu progettato dall’ingegnere Plinio Marconi, che coniugò funzionalità e visione sociale. Le abitazioni furono costruite in muratura, ognuna dotata di servizi igienici, stalla, magazzino e piccolo appezzamento di terreno. Furono realizzate anche infrastrutture pubbliche: la scuola, l’ambulatorio, la chiesa, l’ufficio postale, la caserma dei carabinieri e persino una stazione ferroviaria nei pressi della linea Potenza Matera.

Taccone doveva essere più che un borgo: un simbolo della rinascita del Sud.

Borgo Taccone: Un Sogno che Diventa Realtà

Per un breve periodo, il sogno sembrò funzionare. Diverse famiglie vennero trasferite nel borgo e iniziarono a coltivare i terreni circostanti. I bambini frequentavano la scuola, le donne animavano la piazza, la chiesa ospitava le celebrazioni della domenica. Le stagioni scandivano i ritmi di una vita agricola difficile, ma finalmente libera da padroni e mezzadria.

Taccone, come altri borghi nati in quegli anni, era una scommessa sull’autonomia e sulla cooperazione. La vicinanza delle famiglie e la condivisione di spazi e servizi generavano un senso di comunità che molti ricordano ancora con nostalgia.

borgo taccone irsina

Le crepe nel sogno: la fuga dall’utopia

Ma sotto la superficie idilliaca iniziarono ad aprirsi crepe. Nonostante le buone intenzioni, Taccone soffrì fin da subito di gravi carenze infrastrutturali. L’acqua corrente arrivava con difficoltà, le strade non sempre erano percorribili, e i collegamenti con i centri urbani principali erano insufficienti. La stazione ferroviaria, pur presente, non garantiva la mobilità necessaria.

Inoltre, il terreno assegnato a molte famiglie non era sempre fertile o sufficiente per garantire una reale autonomia economica. Con l’avanzare degli anni Sessanta e Settanta, il sogno si scontrò con la dura realtà: l’agricoltura familiare non bastava più. Le prime famiglie iniziarono ad abbandonare il borgo per cercare fortuna nelle città industrializzate del Nord o all’estero.

Il colpo di grazia arrivò negli anni ’70. L’abbandono fu rapido, quasi improvviso. Le case furono lasciate con dentro mobili, stoviglie, giocattoli: come se chi se ne andava avesse sperato di tornare presto. Ma nessuno tornò. Taccone fu ufficialmente classificato come “borgo disabitato“.

Un Borgo Fantasma tra le Colline

Oggi, Taccone è un paese fantasma, un luogo intriso di silenzio e suggestione. Le costruzioni in pietra resistono ancora, anche se ferite dal tempo e dalla natura che lentamente reclama ciò che le è stato tolto. Gli edifici pubblici, come la scuola e la chiesa, sono ancora riconoscibili, ma invasi da erbacce e crepe.

Gli escursionisti che si avventurano fino al borgo raccontano di una strana atmosfera sospesa, come se le voci, le risate e i pianti dei suoi abitanti fossero rimasti intrappolati tra le mura. Qualcuno ha lasciato una targa vicino alla fontana centrale con la scritta: “Qui batte ancora il cuore di Taccone”.

La riscoperta e la memoria

Negli ultimi anni, alcune associazioni culturali e fotografi indipendenti hanno riscoperto Taccone, rendendolo oggetto di documentari, reportage e progetti artistici. La sua storia, simbolo di un’Italia che ha creduto nella rinascita e poi ha dovuto fare i conti con i limiti della propria visione, commuove e fa riflettere.

C’è chi propone progetti di recupero, trasformando i borghi abbandonati in poli culturali, agriturismi sostenibili o centri di formazione. Ma Taccone rimane ancora ai margini, intrappolato tra il passato e un futuro che tarda ad arrivare.

Borgo Taccone: Una metafora

Borgo Taccone non è solo un luogo fisico: è una metafora potente. È la rappresentazione di sogni collettivi infranti, di politiche pubbliche ambiziose ma forse troppo calate dall’alto, di un’Italia che ha cercato di reinventarsi senza sempre riuscirci. Ma è anche la testimonianza di una memoria che resiste, di un paesaggio che parla a chi sa ascoltare.

Visitarlo oggi significa fare un salto indietro nel tempo, ma anche un tuffo in noi stessi: nelle nostre radici, nelle nostre contraddizioni, nelle nostre speranze. Taccone non ha mai cessato di esistere. Vive nei racconti di chi lo ha abitato, nelle fotografie, nei documenti e nelle pietre che ancora tengono testa al vento.

E forse, proprio da quelle pietre, può rinascere una nuova idea di comunità, più consapevole e sostenibile.
Taccone ci guarda, in silenzio. Ma il suo messaggio è più attuale che mai.